Il cyberbullismo è definito come: un atto intenzionale aggressivo, perpetrato da un individuo o da un gruppo, nel quale vengono utilizzati strumenti telematici in modo continuo nel tempo contro una vittima che non è in grado di difendersi. In Italia il fenomeno del cyberbullismo è dilagato nel momento in cui adolescenti e pre-adolescenti hanno iniziato ad utilizzare capillarmente gli smartphone. Il cyberbullismo, può avere un impatto devastante su chi ne è vittima, perennemente connessa e quindi attaccabile, tuttavia dal punto di vista della frequenza rimane ancora un fenomeno meno diffuso rispetto al bullismo tradizionale. La risonanza che i media forniscono al cyberbullismo non deve quindi trarre in inganno sulla reale diffusione del fenomeno. Il vero pericolo, tuttavia, è un altro: lo stesso Olweus, nelle sue indagini, nota che il cyberbullismo, più che creare “nuove vittime”, tende ad accanirsi sugli stessi ragazzi già vessati dal bullismo tradizionale, il che produce un surplus di sofferenza che non sempre un adolescente è in grado di gestire. In una società come quella attuale, dove l’apparire ha più importanza dell’essere, l’amplificazione prodotta dal web e dai social network estremizza questi comportamenti e la “prodezza” del bullo si trasforma in uno spettacolo con migliaia di spettatori. Quando il materiale finalizzato alla violenza viene diffuso in rete e trasmesso contemporaneamente a moltissime persone rimane disponibile online senza limiti di spazio e di tempo, e molto difficilmente può essere rimosso oppure cancellato. Una recente ricerca effettuata da Save the children, ha evidenziato che più di due ragazzi su tre (72%) considerano il cyberbullismo come il fenomeno sociale più pericoloso e preoccupante del proprio tempo. Sul web viene a mancare l’interazione diretta, faccia a faccia, che porta ad un totale affievolimento dei sentimenti di compassione e al disimpegno morale nei confronti della vittima: l’assenza di un feedback verbale e corporeo non fa considerare adeguatamente gli effetti immediati delle azioni sull’altro. La vittima, anche se la si conosce, non è percepita una persona vera e propria, ma come un’entità semi-anonima e non dotata di emozioni o sentimenti (anche se lo si conosce). Il cyberbullo, non avendo un contatto fisico con la vittima ed essendo impossibilitato a coglierne i segnali espressivi e di disagio, rischia di lasciarsi andare ad atti di crudeltà che vanno anche al di là del suo pur traballante senso morale. La semplicità delle azioni richieste per compiere soprusi informatici (il click di un mouse) e la comodità in cui ci si trova mentre si compiono tali azioni (a casa propria), contribuiscono ulteriormente a ridurre la percezione individuale della gravità degli atti, e distorcono la rappresentazione delle eventuali conseguenze delle azioni sugli altri: è così facile farlo che gli adolescenti trovano difficile immaginare l’esistenza di leggi che lo proibiscono. Il cyberbullo, sfruttando la comunicazione digitale, ha l’opportunità di rimanere anonimo oppure di fingersi qualcun altro, nascondendosi spesso dietro a pseudonimi e indirizzi IP camuffati (indirizzi di riconoscimento del proprio pc).
L’altro criterio che caratterizza questo fenomeno è la diffusione pubblica delle informazioni. Infatti, a differenza del bullismo tradizionale, in cui la propagazione delle informazioni è comunque ristretta a un gruppo limitato di persone (bullo, gregari del bullo e spettatori), nel cyberbullismo testi, video o immagini postati su Internet con l’intento di denigrare una persona possono essere visti in tempi rapidissimi da un potenziale vastissimo pubblico. La sempre maggiore diffusione delle nuove tecnologie e la crescente facilità di accesso ad internet e alle reti mobili permettono ai contenuti inviati di essere divulgati e amplificati in maniera esponenziale (internet meme), moltiplicando il disagio delle vittime. Nel cyberbullismo gli spettatori sono pressoché incalcolabili e per questo motivo anche una sola informazione trasmessa a molte persone attraverso Internet o smartphone, può arrecare danno alla vittima indipendentemente dalla sua ripetizione. Inoltre anche la dimensione temporale dell’offesa nel caso del cyberbullismo si dilata ipoteticamente all’infinito, perché le informazioni rimangono disponibili ai soggetti per lungo tempo a prescindere dalle azioni che il cyberbullo può continuare a perpetrare. Nel bullismo tradizionale si poteva scegliere di non uscire di casa per non rischiare di incontrare il proprio aggressore, ma viceversa oggi è quasi impossibile evitare il contatto con la tecnologia: ne siamo dipendenti e le nostre vite sono influenzate da internet e dai social network. Quando il bullismo si fa cyber il pericolo che un piccolo scherzo si trasformi in un fenomeno virale di portata inimmaginabile è sempre latente, con tutte le conseguenze, anche legali, che questo può comportare.
Qui di seguito trovate un trailer di un video in produzione per la sensibilizzazione del fenomeno del cyberbullismo: